(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio
Al giovane Francisco de Borja che ha invitato i gesuiti a fondare un collegio nel suo ducato di Gandía, Ignazio, conformemente alle sue regole, «infonde coraggio e forza per andare avanti» (Ej 7), come a uno che è «uscito dal peccato mortale» (Ej 370) e «non vuole né cerca alcun’altra cosa che, in tutto e per tutto, una maggiore lode e gloria di Dio nostro Signore» (Ej 189). In questo modo lo conferma nella sua esperienza della consolazione: quando uno viene a «infiammarsi nell’amore del suo Creatore e Signore» e sente che «nessuna cosa sulla faccia della terra può amare in sé ma solo nel Creatore di tutte» (Ej 316). Chi si è così «avvicinato» ed è «giunto al suo Creatore e Signore» (Ej 20), non di rado si sorprende dopo, però, a «divagare» (Ej 64) perché continua a porre «impedimenti» (Ej 23) all’azione di Dio.
Francisco de Borja
(fine 1545)
Considerando che le persone che escono da sé ed entrano nel loro Creatore e Signore conoscono il raccoglimento assiduo, l’attenzione, la consolazione, e sentono come tutto il nostro bene eterno si trova in tutte le cose create, alle quali tutte egli dà l’essere e che conserva in sé con infinito essere e presenza, mi persuado facilmente che con queste cose lei si consoli di più, e anche con molte altre. Lo stesso, a coloro che amano interamente il Signore, tutte le cose aiutano e tutte servono loro per meritare di più e per maggiormente trovare il loro stesso Creatore e Signore e unirsi a lui con carità intensa, anche se molte volte la creatura pone ostacoli da parte sua all’opera che il Signore vuole operare nella sua anima, come V.S. dice, e molto bene. E non solo prima che si ricevano in questa operazione grazie, doni e gusti dello Spirito Santo, ma addirittura dopo che sono venuti e ricevuti (essendo l’anima visitata e consolata, senza nessuna oscurità né inquieta preoccupazione di essa, adornandola lo Spirito di tali beni spirituali, e rendendola tutta contenta e tutta innamorata delle cose eterne che dureranno per sempre in continua gloria) veniamo a perderci in pensieri di poca importanza, non sapendo custodire un sì gran bene celeste.
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