(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio
Nelle sue regole circa il mangiare, Ignazio osserva che l’appetito è «più incline a disordine» davanti a cibi non ordinari, dove «la tentazione è più pronta a istigare» (Ej 212). Soprattutto, egli ribadisce secondo il criterio del «tantum quantum» (Ej 23), che «bisogna evitare che l’animo sia tutto intento a quello che mangia, e che uno mangi in fretta spinto dall’appetito; al contrario bisogna aver padronanza di sé, sia nel modo di mangiare sia nella quantità» (Ej 216). La presente lettera è rivolta al rettore della comunità di Lovanio, dove le condizioni materiali erano assai difficili. Vi si loda la sobrietà del regime alimentare, ma si raccomanda di badare a non mettere in pericolo la salute (cf. pure Epp 4983: VIII, 102-103).
A Adrian Adriaenssens
12 maggio 1556
Lodiamo, per quanto si può, la frugalità, la parsimonia e il buon esempio dato agli altri in materia di nutrimento. Ma in questo campo pensiamo che non conviene sottrarre cosa alcuna di quelle che, secondo il parere del medico (che deve tener presente la nostra povertà e condizione), siano necessarie per recuperare o mantenere la salute. Questo in generale. Che, inoltre, sia bene abituarsi a cibi e a bevande più comuni e meno care, quando si è sani e di buona tempra fisica, è conforme alla ragione e al nostro Istituto secondo cui i nostri devono usare un modo di vivere comune. Perciò, se la salute fisica di qualcuno consentisse di abituarsi alla birra o alla sola acqua o al sidro, dove fosse questa la bevanda comune, dovrebbe farlo piuttosto che usare vini importati con spesa maggiore e dare minore edificazione. Però, se ci fossero alcuni di poca salute, come tra voi il M. Adriano Whitte e M. Bernardo [Olivier] e il M. Pietro Ribadeneira, trattino bene il loro povero corpo per potere aver forze per le opere di pietà e di carità in aiuto delle anime e a edificazione del prossimo; diversamente si indebolirebbero e sarebbero poco utili al prossimo sino a diventare anche un peso, come è capitato in Italia a M. Bernardo e a M. Adriano. Costoro non conviene farli abituare in nessun modo, a mio parere, a cibi e bevande più ordinari, a meno che possano farlo senza danno della salute. Per i servitori di Dio, che sono pronti a soffrire per Cristo ogni cosa, anche le più faticose, preferirei che avessero quelle comodità offerte da Dio stesso più di quelli che sono meno utili al bene comune. Bisognerà tuttavia stare attenti a non introdurre il superfluo invece del necessario e quanto piace ai sensi invece di ciò che serve alla salute, convertendo in abuso quello che è un uso lodevole. E se fosse contro l’edificazione prendere in pubblico quanto fosse necessario a giudizio del medico, si faccia pure in privato, in modo che quanto conviene alla salute non sia di scandalo. Tutto questo è detto in generale; ai particolari scenderà la prudenza, che discernerà dopo aver esaminato tutte le circostanze.
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