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46. Croce e amore

(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio



Alla disobbedienza di Adamo (Ej 51) porse rimedio «Colui che con l’obbedienza redense il mondo perduto per la mancanza di questa, fattosi obbediente fino alla morte e morte di croce [Fil 2,8]» (Epp 3304: IV, 671). Nel suo status exinanitionis, laddove «la [sua] divinità si nasconde, permettendo che la santissima umanità soffra tanto crudelissimamente» (Ej 196), il Figlio si lascia dare dal Padre in sacrificio, eppure in questo si manifesta quanto egli stesso «vuole» (Ej 195). Infatti, se è vero che Dio che ha creato gli uomini, «li ha riparati col sangue del suo unigenito Figliolo» (Epp 4115: VI, 252), è anche vero, come evidenzia Ignazio, che il Figlio non è soltanto l’Agnello del sacrificio (Gv 1,28), ma anche il Sacerdote del sacrificio (Eb 9,11ss) e che in questo sacrificio, Gesù offre la propria vita per le pecore: «Gesù Cristo versò il suo sangue e la sua vita per redimerle dall’eterna miseria» (Epp 5205: VIII, 465 con una citazione di Gv 10,11). Contemplando Cristo crocifisso, «disceso da vita eterna a morte temporale», il fedele non può non chiedere cosa deve fare per lui (Ej 53), non può non obbedire alla voce dello «Spirito che ci governa e guida per la salvezza delle nostre anime» (Ej 365).



Alla Comunità di Coimbra

7 maggio 1547

Per obbligarci a desiderare e procurare con più prontezza la salvezza delle anime, la sua Maestà ha voluto prevenirci con questi benefici tanto inestimabili e costosi, disfacendosi, per così dire, della sua perfettissima felicità e dei suoi beni per condividerli con noi e prendendo le nostre miserie per liberarcene. Ha voluto esser venduto per riscattarci, infamato per glorificarci, ha voluto essere povero per arricchirci. Ha scelto una morte tanto ignominiosa e piena di tormenti per darci una vita immortale e beata. Quanto terribilmente ingrato e duro è chi non si riconosce assai obbligato a servire diligentemente e a procurare l’onore di Gesù Cristo!

CB V/3_1 [Epp 169: I, 502)








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