(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio
A un giovane studente della Compagnia di Gesù, che attribuiva l’oppressione di cui soffriva al luogo dove si trovava, Ignazio fa capire che a spingerlo a «fare cambiamenti» (Ej 318) esteriori è il «mal caudillo» con i suoi «inganni» (Ej 139) e che – conformemente alla regola da applicare in caso di desolazione – deve, invece, «cambiare intensamente se stesso» (Ej 319), adoperando i mezzi utili al «bene spirituale delle anime» (Ej 16) e quindi fare penitenza «per vincere se stesso» (Ej 87), «umiliarsi e abbassarsi quanto può» davanti a Dio (Ej 324; cf. Ej 75). Nelle Costituzioni metterà in guardia contro l’«incostanza» (Co 181), nemica della «stabilità» (Co 121) e della «fermezza» (Co 240) nel «mantenersi nella pace e nella vera umiltà dell’anima» (Co 250) nel posto che l’obbedienza religiosa ha assegnato. Ma già negli Esercizi il santo sottolineava il valore del «rimanere» (cf. Gv 1,39): occorre «fermarsi» per il tempo prescritto per l’orazione, «procurando che l’animo rimanga soddisfatto» (Ej 12), e, se uno si sente spinto a non completarlo, conviene «restare un poco di più», in modo da «vincere le tentazioni» (Ej 13). Infatti, «in tempo di desolazione non si deve mai fare mutamento ma restare fermo e costante nei propositi e nella determinazione in cui si stava nel giorno precedente a tale desolazione, o nella determinazione in cui si stava nell’antecedente consolazione» (Ej 318).
A Bartolomeo Romano
(26 gennaio 1555)
Carissimo fratello Bartolomeo. Le vostre lettere e anche quelle di altri [Padri], ma soprattutto le vostre, fanno ben conoscere il vostro stato e tanto più ce ne dispiace quanto più desideriamo il vostro bene spirituale e la vostra eterna salute. Voi v’ingannate tanto pensando che dal luogo o dai superiori o dai fratelli provenga la causa del non trovare quiete né portare frutti nella via del Signore. Questo viene dal di dentro di voi stesso e non dal di fuori, cioè dalla vostra poca umiltà, dalla vostra poca obbedienza, poca orazione, e finalmente poca mortificazione, poco fervore nell’andare avanti nella via della perfezione. Potrete cambiare luogo, e superiori, e fratelli, ma se non cambiate l’uomo vostro interiore, non farete mai bene e in ogni luogo sarete il medesimo, fino a tanto che non diventiate umile, obbediente, fervente e mortificato nell’amor vostro proprio. Quindi procurate [di operare] questo cambiamento e non quello. Procurate, dico, di mutar l’uomo interiore e richiamarlo come servitore di Dio, senza pensare a qualche cambiamento esteriore, perché o sarete buono lì a Ferrara o non sarete buono in nessun collegio.
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